Manifestazione “Spazza l’odio – Da’ Voce al Rispetto” a Pescara, 12-07-2020

“La legge che verrà. Dialoghi sul ddl Zan” è una rubrica di approfondimento sulla legge contro omotransfobia e misoginia, che ha iniziato il suo iter alla Camera dei Deputati lo scorso 3 agosto. Fabrizio Filice, magistrato e componente del gruppo di lavoro sulla violenza domestica e di genere  presso la VII Commissione del Consiglio superiore della magistratura, dialoga con Rosario Coco, attivista e formatore di Gaynet, tra i promotori di Da’ Voce al Rispetto.
Questa quinta puntata si tratterà il tema delle definizioni di sesso, genere, orientamento sessuale e identità di genere. E’ infatti atteso in aula un emendamento per definire i concetti base della legge, dietro richiesta del Comitato per la Legislazione. 

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Si attende in Aula un emendamento per la definizione dei concetti base della legge, a seguito della richiesta del Comitato per la Legislazione. Cosa ci aspetta?

La questione delle definizioni è stata molto discussa durante le audizioni informali in Commissione giustizia.

In realtà questa pervasiva necessità di definire, nello stesso contesto della legge penale, i concetti disesso, genere, identità di genere e orientamento sessuale non è stata avvertita in riferimento ad altri concetti egualmente appartenenti alla sfera dell’autodeterminazione sessuale.

Basti pensare ai delitti di violenza sessuale, previsti agli articoli 609 bis e seguenti del codice penale, imperniati sul concetto di  costrizione a compiere o a subire “atti sessuali” senza che la nozione di “atto sessuale” sia definita;  e questo ha consentito una ricca elaborazione giurisprudenziale volta a riconoscere, in ogni singolo caso, senza automatismi o parametri fissi, se il bene giuridico protetto, cioè la libertà di auto-determinazione sessuale della vittima, sia stato leso e in che misura.

Il fatto che nella sfera semantica  del genere e dell’orientamento sessuale non sembri possibile rinunciare alle definizioni dipende, a mio avviso, piuttosto dalla tragica ignoranza che regna nell’universo giuridico e giudiziario  su questi temi, e che a sua volta riflette  il ritardo dell’Italia nel campo degli studi giuridici di genere, che si stanno affermando nelle nostre Università, con molta timidezza, solo negli ultimi anni.

Ancora quando ho frequentato  io la facoltà di giurisprudenza, in uno degli Atenei più prestigiosi del nostro Paese, circa una ventina d’anni fa, credo di non aver sentito nominare il concetto di “genere” nemmeno una volta nell’intero corso di studi.

In questo contesto l’esigenza di dotare la legge di uno strumentario di carattere definitorio riflette la realtà che, in caso contrario, moltissimi interpreti pratici del diritto (avvocati e magistrati) si troverebbero a maneggiare questi concetti ignorandone quasi completamente il  contenuto e la complessità scientifica, antropologica e politica.

In questo senso l’introduzione delle definizioni potrebbe effettivamente avere una sua utilità, nel senso di indicare quantomeno la linea di significato sulla quale muoversi nel processo interpretativo.

Quali sono secondo lei le fonti più autorevoli a disposizione del Legislatore per definire sesso, genere, orientamento sessuale e identità di genere?  ( completamente riscritta)

Le definizioni basiche dei concetti di sesso, genere, orientamento sessuale e identità di genere, che si sono affermate nell’ambito dell’antropologia, hanno già consolidato una loro universalità scientifica, sono state recepite tra gli health topics dell’Organizzazione mondiale della sanità ( questa una delle definizioniGender refers to the roles, behaviours, activities, attributes and opportunities that any society considers appropriate for girls and boys, and women and men. Gender interacts with, but is different from, the binary categories of biological sex”) e sono già state accolte  da importanti fonti normative sovranazionali, tra le più citate la Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta alla violenza contro le donne, fatta a Istanbul nel 2011 e ratificata dall’Italia con Legge n. 77 del 2013;  e la direttiva 2012/29/UE sull’assistenza e la protezione delle vittime di reato, attuata in Italia con Decreto legislativo  n. 212 del 2015.

E’ notizia di poche settimane fa che il governo polacco ha aperto un fronte  – che potrebbe essere condiviso a breve da Ungheria, Slovacchia e Turchia – per la “dissociazione” della Convenzione di Istanbul, puntando il dito proprio contro la definizione di “genere”, accusata di costituire un surrogato ideologico e artificiale alla nozione biologica, e  in quanto tale immutabile, di sesso.

Non è un mistero che riserve di questo tipo siano state espresse anche dal governo Italiano (allora  era il governo Monti) al momento della ratifica della Convenzione e che simili critiche  stiano anche alla base della presa di distanza di una parte del femminismo italiano dal  ddl Zan.

L’attacco al genere, comunque lo declini ( in senso reazionario o in senso “femminista”),   rappresenta inconfutabilmente  un attacco all’autodeterminazione individuale in quanto porta con sé la pretesa di  di negare a ogni individua,  e a  ogni individuo, il diritto  di non riconoscersi nella sovrastruttura sociale, il genere appunto, che le/gli è stata assegnata  in  base al sesso biologico certificato alla nascita.

Si dice insomma di rifiutare la definizione di   “genere” in sé  ma non è affatto così: si rifiuta di dare alle persone la possibilità di  autodeterminarsi in base a questa definizione ( cioè  l’identità di genere)  ma non si rifiuta affatto  – anzi si riafferma – il diritto dello Stato di determinare coattivamente l’appartenenza di ogni individua/o a un “genere” ( cioè il ruolo di genere) in base al criterio binario maschio- femmina che riflette il sesso biologico, in una sua nozione peraltro molto riduttiva che nemmeno riflette l’intersessualità.

A mio avviso,  i ruoli di genere imposti dalla società, e i relativi stereotipi, sono a tutti gli effetti  forme di dominio politico-teologico sui corpi,  che riflettono la stessa logica di dominio sul corpo dell’altra/o che,  all’estremo,  porta al respingimento, all’assimilazione forzata  e all’internamento ( come dimostrano gli internamenti di persone gay, bisessuali, transessuali e transgender,  attuati pressoché  da tutti i regimi totalitari del secolo scorso, dal nazifascismo alla dittatura castrista).

Nonostante queste riserve, tuttora molto diffuse e variamente declinate,  le definizioni di genere e di identità di genere sono  già state  accolte da  alcune importanti sentenze dalla Corte Suprema di Cassazione,  che le ha ritenute già “immanenti” al nostro ordinamento giuridico  senza bisogno di definizioni normative.

Penso, ad esempio, alla sentenza della Cassazione civile n. 15138 del 20/07/2015 che, nello stabilire che ai fini della rettificazione del sesso nei registri dello stato civile non deve ritenersi obbligatorio l’intervento chirurgico demolitorio e/o modificativo dei caratteri sessuali, ha statuito che  l’identità di genere rientra, in tutti i suoi aspetti biologici e sociali, nel nucleo costitutivo dello sviluppo della personalità individuale e sociale,  e come tale gode della protezione costituzionale riconosciuta agli articoli 2, 3, 29 e 32 della Costituzione.

O, ancora, alla Cassazione penale n. 10959 del 29/01/2016, in base alla quale l’espressione “violenza alla persona” deve essere intesa alla luce del concetto di “violenza di genere”, risultante dalle pertinenti disposizioni di diritto internazionale recepite e di diritto comunitario.